martedì 7 dicembre 2010

Un inno all'amore struggente e ironico


Alessandro Carli
su Fixing San Marino e La voce di Romagna 3novembre 2010

Un inno all’amore, dolce e struggente. Un manifesto a maglie strette, come il legame che unisce Ginetta Maria Fino e Giuseppe “Pino” Mainieri, interpreti del raffinato “Non mi ricordo”, nei giorni scorsi al Teatro degli Atti di Rimini. All’interno di una scenografia semplice ma funzionale (una piccola scaletta, un tavolino e una lavagna) i due attori portano da qualche tempo sui palchi teatrali italiani la storia di una vita nata in piazza a Bologna, e che oggi – dopo un terribile incidente che ha coinvolto l’attore - trova una nuova dimensione: quella della destinazione. Quella di un pubblico.
Ginetta Maria Fino e Giuseppe Mainieri sono la storia dell’Italia: le contestazioni sotto le Due Torri, le lettere dell’uomo durante la naja e la caduta con la Vespa, spaventosa e dolorosa, che l’ha costretto a uno stato di coma prolungato. La bellezza di questa spettacolo risiede nel “taglio” che Ginetta Maria Fino ha saputo connotare: giocando su registri anche comici – Mainieri sul palco ha una verve molto contagiosa – l’attrice descrive il microcosmo raccontando il macro. Ed è un dono raramente riscontrabile sulle tavole dei teatri, lì dove il sottile filo che separa la finzione dalla realtà spesso ha colori smaccatamente fluorescenti. Qui invece la storia è vera: è vera la forza dei due in scena, è reale il dolore della donna, ma è altrettanto straordinaria la capacità di sapersi mettere a nudo davanti ad una platea. Così si sgranano gli anni: il buffo incontro tra i due, l’amore che cresce, il matrimonio, la nascita del figlio nel 1982, l’anno dei mondiali di calcio. Pino non ricorda nulla: non la nascita del pargolo (per lui l’82 è l’inno di Mameli), non le lettere di contestazione, non il matrimonio, non il teatro. Ricorda – ma solo nel finale – gli anni della piazza: a pugno chiuso, proprio oggi che “i comunisti non esistono più”.
Un teatro civile che sa superare la definizione limitativa della stessa definizione: “Non mi ricordo” è un piccolo capolavoro di emozioni, costruito e cucito sui due attori/persone che si amano e conoscono tempi e respiri. Un manifesto che scorre sui tasti neri e bianchi del pianoforte: la risata diventa riflessione, come nei clown, quando sotto il sorriso si cela, spesso il dolore.

mercoledì 24 novembre 2010

Massimo Marino su CONTROSCENE PER VOLTERRA e Corriere della Sera Bologna 22 luglio 2009

La memoria “tradotta”
(.. )si chiamava cinema Alfa, e tutti quelli che erano ventenni a Bologna negli anni ’70 ci hanno sognato qualcosa, tra un tentativo di cambiare il mondo, un collettivo, un esame, un accaldato o nebbioso giorno di lotta politica o di amore. Me lo ha riportato alle mente Ginetta, Ginetta Maria Fino, nel racconto della sua storia d’amore con Pino, Giuseppe Raffaele Mainieri. Si incontrano in piazza Maggiore, qualcuno suona sulle scalinate la Ballata di Pinelli qualcuno lancia l’idea di andare a vedere Jodorowski “in quel cinemino economico di piazza Collegio di Spagna” (anch’io ci ho visto l’insopportabile Jodorowski, l’entusiasmante “Pat Garrett & Billy the Kid” e altri film). Lui, nel gruppo, non vuole andare. Lei lo tira per i piedi… Così comincia la loro storia d’amore. Vediamo la foto delle due persone che ci stanno davanti a quei tempi: capelli riccioli, baffoni lui, un gatto tra le gambe lei. Iconografia di tempi passati. Nostalgia? Qualcuno ce l’ha, qualcuno meno.
Preferisce guardare al futuro. Oggi Pino ha i capelli bianchi. Ginetta parla spigliata, con simpatia tutta emiliana. Lui ha un occhio strambo e uno semichiuso. Articola le parole con difficoltà. Un giorno, erano gli anni ’90, salì su una moto, fu investito da un’auto, cadde in coma profondo. I medici avevano dato il cervello per spappolato. Eppure ora è di fronte a noi. Ride. È molto simpatico. Ginetta continua a chiedergli: “Ti ricordi?”.Ti ricordi quando sei partito militare, spedito in Sicilia, in una caserma fascista, di come hai organizzato la resistenza, con altri compagni (riemerge questa parola rimossa), delle punizioni, un anno terribile? Ti ricordi quando ci siamo sposati, nel 78? Ti ricordi le nozze d’argento, nostro figlio, i nipoti commossi?
La partecipazione al premio dell’Archivio diaristico di santo Stefano? Pino,ti ricordi? Lui, con un sorriso, risponde spesso sempre di no. Qualche altra volta con la mano fa segno: forse un po’.
Scorre un pezzo di vita. Senza pesantezza, nonostante le storie narrate siano intessute di speranze giovanili e di orrore, con quella disgrazia che come lama del fato sembrerebbe spezzare una vita un po’ fuori dagli schemi, ma in fondo normale.
Vivere, mangiare, fare teatro, respirare, sognare... Un pezzo di verità, senza retorica. Questa è la cifra di Volterrateatro:
storie, vite, mascherate o rivelate, in cerca di una scintilla, di una consapevolezza, di una rivelazione, di una possibilità d’incontro o cambiamento. Ginetta e Pino narrano anche una distanza, quella tra le cose vissute e la mente le che guarda, tra le idee che nutrirono una generazione e i giorni del grigio, della ritrattazione, del pentimento.
Sembra passato un secolo dall’illusione di cambiare il mondo, sembra che quei tempi non siano stati vissuti. Qualcuno non li ricorda. Forse è stato un incidente a strappare il filo. Il corpo è stato seppellito prima che fosse morto, più o meno colpevolmente. C’è però qualcuno ostinato, che con il sorriso sulle labbra, come Ginetta, combatte per tenere vivo l’amore, il nutrimento dei giorni passati, l’identità. E la verità di questa presenza è sconvolgente

Alessandro Carli su Fixing San Marino e La voce di Romagna 3novembre 2010

Un inno all’amore, dolce e struggente. Un manifesto a maglie strette, come il legame che unisce Ginetta Maria Fino e Giuseppe “Pino” Mainieri, interpreti del raffinato “Non mi ricordo”, nei giorni scorsi al Teatro degli Atti di Rimini. All’interno di una scenografia semplice ma funzionale (una piccola scaletta, un tavolino e una lavagna) i due attori portano da qualche tempo sui palchi teatrali italiani la storia di una vita nata in piazza a Bologna, e che oggi – dopo un terribile incidente che ha coinvolto l’attore - trova una nuova dimensione: quella della destinazione. Quella di un pubblico.Ginetta Maria Fino e Giuseppe Mainieri sono la storia dell’Italia: le contestazioni sotto le Due Torri, le lettere dell’uomo durante la naja e la caduta con la Vespa, spaventosa e dolorosa, che l’ha costretto a uno stato di coma prolungato. La bellezza di questa spettacolo risiede nel “taglio” che Ginetta Maria Fino ha saputo connotare: giocando su registri anche comici – Mainieri sul palco ha una verve molto contagiosa – l’attrice descrive il microcosmo raccontando il macro. Ed è un dono raramente riscontrabile sulle tavole dei teatri, lì dove il sottile filo che separa la finzione dalla realtà spesso ha colori smaccatamente fluorescenti. Qui invece la storia è vera: è vera la forza dei due in scena, è reale il dolore della donna, ma è altrettanto straordinaria la capacità di sapersi mettere a nudo davanti ad una platea. Così si sgranano gli anni: il buffo incontro tra i due, l’amore che cresce, il matrimonio, la nascita del figlio nel 1982, l’anno dei mondiali di calcio. Pino non ricorda nulla: non la nascita del pargolo (per lui l’82 è l’inno di Mameli), non le lettere di contestazione, non il matrimonio, non il teatro. Ricorda – ma solo nel finale – gli anni della piazza: a pugno chiuso, proprio oggi che “i comunisti non esistono più”. Un teatro civile che sa superare la definizione limitativa della stessa definizione: “Non mi ricordo” è un piccolo capolavoro di emozioni, costruito e cucito sui due attori/persone che si amano e conoscono tempi e respiri. Un manifesto che scorre sui tasti neri e bianchi del pianoforte: la risata diventa riflessione, come nei clown, quando sotto il sorriso si cela, spesso il dolore.